ABSTRACT

L’uomo è religioso per natura e pertanto tutti hanno una religione, per quanto strana possa essere. Anche gli atei di fatto hanno dogma, morale, riti, profeti, libri “sacri”. Un ateo non dovrebbe a vere morale, ma tutti invocano una morale migliore di quella delle religioni ufficiali. In realtà non sono atei, ma idolatri.

La religione è un rapporto con Dio attraverso le mediazioni sacrali. Dio creatore e onnipotente ha creato gli uomini fuori da sé, ad immagine sua. L’uomo si cerca nell’immagine divina attraverso il sacro: sacer-doti, sacra-menti, templi, riti, libri sacri, feste, ecc. Ma Dio rimane esterno e lontano. Nella fede scopriamo che Dio si rende vicino, vicinissimo, si incarna, ci dona lo Spirito Santo: Dio in noi e crea nuovi legami con noi e tra di noi. Nel cristianesimo si danno le due dimensioni: la religione e la fede soprannaturale. Il peccato originale confonde il cuore che cerca Dio e lo orienta agli idoli, dove l’uomo cerca l’amore non più da Dio ma dagli uomini, attraverso prestazioni che garantiscono il successo presso gli altri. Tali prestazioni si caricano di assoluto e diventano idoli. Il dono soprannaturale recupera la religione nella sua validità universale e la eleva a sostegno della vita di fede. La religione si regge su di una istituzione ecclesiale, gerarchica, che è responsabile delle prestazioni sacre. In tale compito facilmente anche l’istituzione cattolica può perdere di vista il compito principale di sostegno della vita di fede e di amore propria del Vangelo. Se ciò succede viene meno anche la spinta ad interessarsi dei problemi umani, che entrano nei rapporti di amore che Gesù è venuto a realizzare. Questo è successo ampiamente nella storia della Chiesa Cattolica. Abbandonata dai cattolici la storia umana ha visto svilupparsi filosofie, movimenti libertari che pongono la storia contro la natura, storicismi e falsi messianesimi che hanno funestato la cultura e la politica.

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Nel libro Saper di Amore. Distinguere nel cristianesimo la fede dalla religione dedico un capitolo di circa 170 pagine a questo importante distinzione dentro la vita dei cristiani. Ma occorre aver presente tutto il libro Liberare l’Amore sui tre convincimenti dello Spirito Santo, per entrare a fondo nel tema della fede, ben diverso da quello religioso. Si può vedere un riassunto sui tre convincimenti nel libro Saper di Amore, nel capitolo IV.

Riporto le prime pagine del capitolo III di Saper di Amore:

Religione «cristiana» e fede cristiana

L’amore ha dimensioni naturali, con radici religiose, e una dimensione soprannaturale, di carità donata, proveniente dalla redenzione operata da Cristo nel mistero pasquale: incarnazione, passione e morte, risurrezione, Pentecoste. A livello naturale subisce le deviazioni e gli inganni propri del peccato originale. A livello soprannaturale occorre entrare nella vita di fede meritata da Gesù Cristo e donata a noi dallo Spirito Santo. Si tratta di un mondo ontologicamente nuovo. Nuova creazione, nuova partecipazione all’Essere con intensificazione dell’atto di essere, e nuova consapevolezza, nei doni dello Spirito Santo. A Pentecoste cambia la mentalità degli apostoli, passando dalla pre-comprensione dettata dalla tradizione ebraica a un modo di pensare nuovo, cristiano. Per questo è di somma importanza distinguere le dimensioni naturali della religione dalla dimensione soprannaturale della fede cristiana. Qualche teologo potrebbbe arricciare il naso di fronte a questa affermazione1. Oggi si legge meglio il disegno unico di Dio che al creare tutto in Cristo dà a tutto, anche alla religione, una dimensione teologica2. Ma non si può dedurre da ciò che tutto quanto riguarda Dio sia teologico, nella fede soprannaturale. Tutto ha un’unità teologica, ma con articolazioni distinte che è opportuno mantenere. Non è facile superare ogni dualismo tra natura e grazia senza cadere nel fideismo. Si tratta di un tema di fondo molto complesso, che non affronto in questo libro, rimandato a un altro lavoro: qui importa aver chiaro che nell’amore bisogna distinguere due contenuti, analoghi ma diversi3. Per intanto è bene notare che nessuno può affermare che la risurrezione di Cristo o l’Eucarestia fanno parte della natura umana, e nessuno può negare che la dimensione religiosa è propria della natura umana, visto che è presente anche negli atei. Pertanto è possibile distinguere ontologicamente religione da fede e perciò si può distinguere anche formalmente, purché non si pretenda di separare una supposta natura pura, dal peccato e dalla grazia. Non desidero semplificare parlando di religione naturale e di cristianesimo soprannaturale, però è possibile individuare i valori propri dello spirito creato, pur nel marasma del peccato, rispetto a quelli che opera in noi lo Spirito Santo donato a Pentecoste, dopo la risurrezione di Cristo. La religione fa capo alle virtù cardinali mentre la fede viva è vita teologale. Così come la giustizia è innata al nostro animo, pur nella confusione e perversione del peccato, così è per la religione, che fa parte della giustizia. La fede invece non è innata. Nessuno nasce cristiano, cristiani si diventa, per nuova nascita, affermava Tertulliano che dà seguito alle parole di Gesù rivolte a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). La distanza tra virtù cardinali e vita teologale è siderale4.

Il nostro intento è pastorale. L’esperienza mi dice che aiutando i fedeli a distinguere tra un rapporto con un Dio lontano, attraverso le componenti sacrali della religione e il dono gratuito della presenza di Cristo tra noi, è più facile favorire il desiderio del dono, la ricerca della Presenza, il legame di amore con Gesù nel comandamento nuovo, insegnato nel Vangelo5.

Il problema, mai sufficientemente tematizzato, è che nel cristianesimo si dà tutta la dimensione religiosa, con contenuti e dinamiche, ma distinta dal cuore del cristianesimo che è il dono teologale, di fede-speranza-carità (dicendo fede intendo tutto il portato teologale). La distinzione tra carità e opere di carità è fondamentale per non ridurre il cristianesimo a opere di religione o morale (che pure occorrono); ma ciò non è possibile finché non si distingue, nel contenuto globale della parola «cristianesimo» ciò che è religione e ciò che è grazia, ciò che è sapienza e ciò che è fede. Facilmente un fedele, ascoltando contenuti di fede che non coglie in profondità, li traduce in sentimento religioso, che alberga naturalmente nel suo cuore pur con la realtà del peccato originale che si annida nel dinamismo religioso. Rimane il problema di fondo, teologale, per una lettura unitaria del disegno divino. Di fatto molti cattolici hanno vissuto per secoli e vivono ancora secondo categorie di religione, lontano da una vita di fede, trovando gravi ostacoli per adottare le categorie del Vangelo. Occorre un grande impegno di discernimento, che è il fine di queste pagine.

Naturalmente il cristianesimo si definisce più per la fede che per la religione, ma è pur vero che la confessionalità storica in cui si vive la dimensione religiosa nel cristianesimo si configura in modo diverso da quella delle altre compagini religiose, e in questo senso si può parlare di religione «cristiana» distinta all’esterno tanto dalle altre religioni, quanto dalla fede cristiana all’interno del vissuto dei cristiani. In effetti alcuni connotati del modo di vivere la religione da parte dei cristiani non si spiegano senza Gesù, soprattutto l’Eucarestia come centro della liturgia, ma è possibile che si vivano solamente a livello della sacralità religiosa, con poca comunanza di amore nella grazia6.

Se religione e fede nel cristianesimo procedono insieme, non si può negare che tutti gli uomini hanno la dimensione religiosa mentre la dimensione soprannaturale, vissuta e cosciente, dopo Pentecoste esige il dono operante della fede, nel battesimo in primo luogo perché è dono ontologico, ma anche nella fede viva e cosciente che Gesù è risorto ed è presente nella mia vita quotidiana. Gli ebrei erano già entrati nel mondo della fede, che è affidamento alla rivelazione divina, ascolto della sua Parola e dono di amore; tuttavia la fede nell’Antico Testamento è come un fidanzamento rispetto al matrimonio, la speranza rispetto a un nuovo vincolo di amore che solamente nel Cristo risorto può avvenire con nuova creazione. Inoltre è facile notare che tra gli ebrei gli elementi di fede erano ricondotti all’osservanza religiosa della Legge. Ugualmente si può notare che per secoli tanti cristiani hanno ridotto il cristianesimo a religione7.

Questa rimane importante e nel cristianesimo raggiunge il più alto livello, ma non basta, soprattutto se diventa scusante per non proiettarsi verso le mete di santità e di carità presenti nella fede. Si tratta di rendere più appetibile al cristiano, assillato dai problemi della vita, la promessa divina di salvezza, con la convinzione che la santità è il dono che Gesù vuole per tutti, come predicava san Josemaría Escrivá indicando la chiamata universale alla santità: «Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai»8. Con schemi tratti dalla religione, la santità appare come qualcosa di eroico, di speciale e difficile, neppur tanto desiderabile. La religione si misura su opere esterne, su rito e culto, su morale e gerarchie, virtù e sacrifici, pertanto confondere la santità con queste opere porta a vedere i santi come eroi speciali. Entrando nelle luci operanti della fede si scopre che è dono a portata di mano del peccatore, purché si accorga quanto esso sia desiderabile e necessario per tutti. In genere lo si ottiene attraverso l’attrazione di una comunità cristiana primaria e carismatica, che però non è ancora garanzia di santità. Un santo è una persona che si mette davanti a Dio e si lascia travolgere dalla forza di Dio; la sua corrispondenza alla grazia non è secondo le sue forze ma secondo la forza e la sapienza di Dio. Essere santi vuol dire sapersi appoggiare in Dio. Permettere che Dio provveda9.

Al parlare di Dio ci si imbatte in mille problemi: gli innumerevoli nomi di Dio, la diversità del vissuto religioso tra animisti, politeisti, monoteisti, ecc. Si intromette anche l’idolatria, che a ben vedere si dà anche in atei e agnostici10 come nei seguaci di una religione. L’uomo è religioso per natura: si trova avviluppato in problematiche religiose, circa l’assoluto e il sacro, con profeti e sacerdoti ben dissimulati, secondo riti e culti impensabili. Ognuno segue un dogma (basti pensare a scientisti e relativisti convinti che le loro idee dovrebbero essere l’unica luce per tutti, divenuti intolleranti e dogmatici, spesso dediti a vero proselitismo inteso come salvezza dagli obbrobri della Chiesa Cattolica), una morale intesa a proprio modo, ma comune a quelli della propria cerchia. Inoltre la religiosità, che si attua quasi sempre in forme comunitarie, è sostanzialmente legata al bisogno di solidarietà umana, di una comunità vitale, dal momento che un essere vivente non può nascere e crescere senza legami forti. Ciò rivela un profondo bisogno primordiale di amore che condiziona radicalmente l’uso della ragione e le scelte esistenziali: tutti hanno una «chiesa».11

Molti cristiani, forti della rivelazione, hanno creduto di poter squalificare le altre confessioni, proprio in virtù della grande confusione che regna tra esse. Altri cercano un sincretismo superficiale, che giustifica tutto e accomuna il cristianesimo alle altre religioni. Altri, miscredenti, pensano di aver la prova dell’inconsistenza religiosa proprio dal pluralismo confuso e conflittuale che la storia delle religioni presenta. Eppure è fondamentale capire bene l’importanza della religione e avere ben chiara la specificità cristiana rispetto alle altre religioni. Il problema più acuto, comunque, è interno al cristianesimo, perché al dire cristianesimo difficilmente si sa distinguere ciò che è un portato religioso, naturale, da ciò che è fede soprannaturale (rivelazione e dono di vita nuova). C’è una religione cristiana, ma il cristianesimo è ben di più e di diverso dalla religione, per bella e importante che essa sia. Si può senz’altro sintetizzare il tutto dicendo religione cristiana, ma con ciò si sorvola sul fatto che la religione è la dimensione sostanziale della natura umana, comune a tutti gli uomini, mentre nel cristianesimo, oltre alla pienezza della religione, sussiste una presenza che non corrisponde alle sue categorie gnoseologiche e ontologiche, ma inaugura (con premesse veterotestamentarie) il mondo della fede teologale, con categorie nuove.

Qui si rendono necessarie alcune precisazioni terminologiche.

Normalmente si parla di religione cristiana intendendo il tutto del cristianesimo. Chi ha fede nella Rivelazione sa che la religione cristiana è diversa dalle altre religioni perché centrata su Cristo, Dio incarnato, morto e risorto, presente tra noi. Chi non crede nella Rivelazione neotestamentaria, soprattutto nella divinità di Cristo e nella risurrezione, pone il cristianesimo tra le altre religioni, in cui riconosce alcuni contenuti più o meno paralleli. La differenza che i credenti in Cristo notano con tutte le altre religioni la attribuiscono proprio a Cristo. Una volta si amava distinguere tra il dato naturale e il dono gratuito soprannaturale, ma sulla base di una metafisica essenzialista che creava una specie di natura astratta e contaminata dal peccato, che richiedeva l’incarnazione del Verbo per essere restaurata ed elevata ai doni soprannaturali propri del cristianesimo. Oggi si è abbandonata la metafisica, trovando in un cristocentrismo «forte» l’unione tra natura e grazia12. Tra natura e dono soprannaturale, tra creazione e Alleanza, non si ama fare distinzioni forti. I problemi sottostanti sono immensi. Era necessario lasciare la metafisica essenzialista e il parallelismo di due fini ultimi, naturale e soprannaturale, ma non si può abbandonare la metafisica. Essa ha ricevuto una radicale riformulazione dopo l’apporto di Cornelio Fabro e di Swiezawski, sull’atto di essere in san Tommaso. Di fronte a Dio, all’essere, all’amore, alla persona, dobbiamo rimanere aperti al mistero, ma non come rinuncia alla ragione o soltanto come affidamento alla fede e all’azione dello Spirito Santo. In occidente si è sempre inseguito il motivo formale, che uccide il mistero; gli orientali affidano il mistero allo Spirito e rinunciano all’et-et della sapienza razionale. La metafisica dell’atto di essere mantiene l’apertura al mistero, ma con fondamento ontologico, unificando tutte le dimensioni del reale, senza chiuderle in un concetto mortificante. Essendo l’essere del tutto ineffabile, a differenza della metafisica razionalista delle essenze, la metafisica dell’atto di essere è molto umile, per non escludere la ricerca in alcun campo, e allo stesso tempo è fondamento fortissimo, capace di rianimare la ricerca delle verità per rendere la vita sempre più umana. Sulla base delle solide aperture della nuova metafisica possiamo addentrarci nelle vie della fede e riaprire il problema del rapporto tra grazia e natura, con le ricchezze divine, connaturali all’uomo, che l’attuale cristocentrismo riduce finendo per confonderle con i contenuti teologici della fede.

Compaiono richiami all’atto di essere, ma sembra che pochi l’abbiano colto a sufficienza. Chi è portato ad accettare una natura creata supportata metafisicamente si contrappone ai fideisti (luterani e cattolici nominalisti) riconoscendo un ruolo importante alla ragione quando pone le domande fondamentali della vita, non solo in senso funzionale e scientifico. Ma a quegli interrogativi della ragione, solamente la fede può rispondere. Qui c’è molto da chiarire, a vantaggio sia della natura, intrisa di religiosità e di storia, sia della fede, veramente nuova e trascendente rispetto alla religione. Quello che non si può fare, sebbene rimanga diffuso e inespresso, è ridurre la natura a una potenzialità il cui atto è la grazia. Come se il matrimonio, l’unione fedele e feconda di uomo e donna fosse una potenzialità naturale che si può attuare solo nel sacramento cristiano. Ma per approfondire questo tema occorre uno studio specifico che qui non è pensabile13. Giovanni Paolo II, con l’Enciclica Fides et ratio, ha fatto molto per uscire dalla deriva fideistica sempre più diffusa tra i teologi cattolici. Ma rimane ancora confusione tra gli antimetafisici. Infatti, affermando che la creazione, nel disegno divino, è orientata a Cristo secondo un unico disegno teologico, non si dà importanza alla storicità dell’uomo e del creato, dove c’è un prima e un poi. Che Dio veda tutto dall’eternità non implica che prima dell’incarnazione il mondo e la storia fossero uguali a dopo. Non implica che la religione connaturata all’uomo sia attuata dalla Pentecoste, che ha una data storica. Dio vede nell’unità teologica un dispiegamento storico. Infatti si parla di storia della salvezza. Che Dio abbia nel suo pensiero un dono, non significa che tale dono abbia già l’essere nella storia degli uomini; lo avrà quando Dio ha previsto, ma nella storia, con un prima e un dopo. Come si legge in Ef 1, 10: «Nella sua benevolenza lo aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi». Dio vede nell’eternità, noi possiamo vedere solo nella dimensione storica. Dio vede tutto nel Figlio, ma noi abbiamo bisogno che il Verbo si incarni in un momento storico, per nascere con lui alla vita trinitaria nella fede viva. Altrimenti non si distingue più naturale da soprannaturale, fino a svuotare il battesimo del suo significato ontologico. Nota Lorenzo Leuzzi: «C’è un misterioso tema che aleggia nell’insegnamento del teologo Ratzinger prima, e di Benedetto : XVI dopo, che fa fatica a toccare terra: il mistero della vita nuova. Ossia il battesimo. Una tematica che neppure la teologia cattolica, al di fuori di circostanze ecumeniche o di indagini statistiche, ha il coraggio di affrontare. Si nota infatti un certo fastidio, quasi che il tema del Battesimo, evento che segna storicamente l’ingresso nella vita cristiana, possa interferire negativamente sulla riflessione teologica e culturale»14. C’è un prima e un dopo ontologico nel considerare il battesimo.

Il Nuovo Testamento parla di un dono che non corrisponde alla natura umana: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono nel cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito» (1Cor 2, 9-10). Gesù stesso dice: «senza di me non potete fare nulla», e non è solo per il peccato, ma per l’impossibilità di vivere nella carità e nella misericordia con la semplice spiritualità creata. Ora la ragione umana, aperta alla sapienza e alla causa ultima, a Dio stesso, capace di religiosità e di misticismo profondo, di fatto e nonostante il peccato, può conoscere e operare molte cose; ma rimane nell’ordine della religione, non può entrare in ciò che solo lo Spirito può darci; non sfiora il dono soprannaturale della vita trinitaria che Gesù ci ha guadagnato sulla croce. Nella Rivelazione si apre a noi un mondo che la Redenzione ci dà; dono ontologico, come dice sinteticamente il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: «Ciò che professa il Simbolo della fede, i sacramenti lo comunicano» (n. 357). In modo particolare, la filiazione divina conferita dal battesimo è dono ontologico: nuova creazione. Mentre molte grazie (che sono accidentali) vanno perdute col peccato mortale, la filiazione divina rimane. Oggi si parla poco di metafisica e di ontologia, ma l’essere non lo creiamo noi. Ciò che è ontologico non è solamente pensato15. Per la filiazione divina è san Giovanni a precisare sia l’aspetto gnoseologico, di conoscenza necessaria, sia l’aspetto ontologico, ancor più necessario: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3, 1); «esserlo», nel caso della filiazione divina, implica un intervento creatore nuovo.

Per fede qui si intende la fede teologale, il dato soprannaturale rivelato, non solo ricevuto con i sacramenti, ma in parte coscientemente vissuto. C’è rivelazione e redenzione, conoscenza nuova e dono ontologico. Quando parliamo di rapporto tra fede e ragione, dovremmo scrivere Fede, con la maiuscola. Quando parliamo di rapporto tra scienza e fede, potremmo fermarci al rapporto tra la scienza e l’esistenza di Dio, tra evoluzione e creazione; temi per cui non occorre scomodare la fede teologale, bensì la sapienza, come senso ultimo delle cose, come portato religioso ad alto livello. Quando si dice che la ragione e la fede sono le due ali della conoscenza che vola fino a Dio (enciclica Fides et ratio), non si può nel modo più assoluto pensare alla ragione scientifica, bensì occorre pensare al mondo della ragione «allargata», che indaga non solo con la scienza sulle cause, ma sale con la sapienza alle cause ultime, e cioè alla dimensione metafisica e religiosa, e si apre in qualche modo al dono della fede.

Fede, con la maiuscola, o «fede teologale», riguarda il mondo soprannaturale, l’agire divino nel suo disegno di amore che va svelando e realizzando prima attraverso i profeti dell’Antico Testamento e poi, pienamente in Cristo. Si potrebbe anche dire «fede cristiana», ma questa è una distinzione all’interno della fede teologale; gli ebrei erano già illuminati dalla fede, ma l’incontro di Dio con l’uomo in Cristo opera una reale novità rispetto alla Legge e ai profeti. Si può parlare di fede, con la minuscola, riferendosi all’esistenza di Dio e alla religiosità, alla fiducia nella provvidenza, o alle diverse «fedi religiose», ma in questo caso non si tratterebbe di dono soprannaturale e rimarremmo in ambito religioso. Per credere all’esistenza di Dio non occorre la fede soprannaturale, basta il senso comune e la ragione ben usata. La fede cristiana è necessaria per credere e vivere la rivelazione, credere nella Trinità e nella divinità di Cristo o nella sua risurrezione, ma soprattutto per viverci dentro. Ancora una differenza: fede con la minuscola può indicar la fede soprannaturale, ma come assenso alle verità rivelate. In un certo modo è la fede distinta dalla carità e dalla speranza, come compare nel catechismo. Ma si può intendere la fede con la maiuscola, come pienezza del mondo soprannaturale che discende dalla Trinità. La vita teologale è un unicum di fede-speranza-carità. A me interessa questo senso. Il mondo della fede è un vissuto trinitario guadagnatoci da Cristo e infuso gratuitamente in noi dallo Spirito Santo. Ciò detto, possiamo usare il termine fede, con minuscola, intendendo la fede teologale, soprannaturale, nel senso pieno indicato; perché così è da intendersi quando parliamo del rapporto fede-ragione.

È da dire che quasi sempre nei libri teologici o devozionali la parola fede indica strettamente la virtù teologica della fede, oppure i contenuti catechistici cui aderire per chiamarci cristiani. Ma questa fede informante, intesa cioè come contenuti, l’ha anche il demonio. Il demonio sa che il Verbo si è incarnato, ma non può dire, come san Paolo, «per me». Noi qui intendiamo, con la parola fede, la fede performante, come la definisce Benedetto XVI nella sua seconda enciclica, distinguendola dalla fede informante (credere “a”), presente nei catechismi. La vita di fede inizia col credere in qualcuno che mi ama: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14, 1). La fede performante comprende il vissuto teologale, i contenuti soprannaturali, la ricchezza della rivelazione, l’efficacia della salvezza, in quanto entrano coscientemente nella nostra vita. Questa fede viene ex audito, dalla Rivelazione accolta, come il seme accolto dal solco. Si «ode» la Parola, che è il Verbo che si incarna per parlarci col Vangelo e con lo Spirito Santo. Se non c’è accoglienza intima della Parola, la fede rimane nozionale. Il battesimo ci dà il dono ontologico della fede, ma tale dono oggettivo richiede la presa di coscienza soggettiva, altrimenti rimane sconosciuto; il dogma enunciato non dà la fede, mentre l’insieme di battesimo, Parola accolta interiormente e appartenenza ecclesiale primaria cambia la vita. Riguardo alla conoscenza intima, rimando alla dichiarazione d’amore con cui si dà un cambiamento esistenziale tra un uomo e una donna. La dichiarazione crea novità di vita, ed è feconda nei figli. Così la Parola, se accolta, apre all’azione performante dello Spirito Santo. In questo senso la fede può essere solo dei cristiani, perché implica credere che il Verbo si è incarnato per me, per me è morto e ora è vivo con me: si è «dichiarato a me». Chi crede in tutto ciò è cristiano; per questo si può dire che nessuna religione è paragonabile alla fede cristiana, mentre ci può essere dialogo con le altre religioni a livello di valori religiosi, dialogo senz’altro urgente per il bene dell’umanità. La ragione e la religione in alcun modo possono pensare la Trinità o l’Incarnazione e risurrezione del Verbo. E tantomeno vivere di questi contenuti soprannaturali.

Con questo chiarimento è lecito parlare di religione e di fede distinguendo due dimensioni volute da Dio per un disegno unitario ma senza confusioni. Ciò significa che certamente il cristianesimo è una religione, ma che esso si definisce per qualcosa di nuovo e inaudito rispetto al vissuto religioso. Se non si fa chiarezza sulle categorie naturali della religione e sui contenuti soprannaturali della fede si finisce per svilire tanto la religione quanto la fede. Si finisce per confondere i modi di pregare, di amare, di operare. Pertanto, con la parola «cristianesimo» dobbiamo indicare due cose in una: religione e fede. Esse non si possono separare oggettivamente, ma la mente umana può prendere coscienza dei valori creati e di quelli soprannaturali: distinguere per relazionare.

Concordiamo con Ratzinger che afferma: «Secondo me, il concetto di un cristianesimo senza religione è contraddittorio e irrealistico. La fede deve esprimersi pure come religione e nella religione, anche se ovviamente non è riducibile ad essa. Da questo punto di vista si dovrebbe studiare ex novo la tradizione dei due concetti […]. A me sembra che una teologia differenziata delle religioni richiederebbe come postulato prioritario il preciso chiarimento dei concetti di religione e di fede, che per lo più trapassano confusamente l’uno nell’altro e vengono entrambi generalizzati»16. Sono parole importanti, che non sembra abbiano trovato seguito per quanto riguarda lo studio ex novo dei due concetti, anche se è interessante studiare il magistero di Benedetto XVI che ha insistito sulla bellezza dei contenuti della fede.

Pur essendo fondamentale l’esigenza sintetica del disegno divino per l’uomo, non si deve disprezzare la possibilità formale di distinguere la religiosità naturale dalla vita di fede soprannaturale. Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate precisa: «La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione» (n° 3). Distingue il naturale dal soprannaturale (cosa che vari teologi oggi tendono a ignorare); la ragione di per sé è naturale, ma è anche lo strumento per la fede e attraverso la fede giunge ad una dimensione soprannaturale dell’amore. La ragione, infatti, è intrinseca alla fede, mentre non si può dire il contrario. Anche a livello di responsabilità sociale il Papa distingue i due piani, naturale e soprannaturale, pur dicendo che il cristiano deve viverli insieme: «La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo per cui, quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il bene, comincia a svanire». Unità nella distinzione, ma con distanza siderale, del tutto incolmabile a partire dalla religione. Quasi si può pensare che la religione sia come una formica che perlustra un quadro di Raffaello: vede ombre e luci, asperità dei colori a olio, ma non si può dire che capisca l’arte. San Paolo dice che lo spirito umano, l’anima vivente (animalis homo, l’uomo animato, l’Adamo, creato a immagine divina, che è religioso di natura, aperto al trascendente) non percipit, non può percepire ciò che Dio ci dà nello Spirito, il Cristo datore di vita (cfr 1Cor 2,14, nel contesto di 1Cor 2, 1-16, e 1Cor 15, 45). Questo «non percepire» indica un’incapacità che dipende da una distanza ontologica. In positivo presenta affermazioni efficaci per indicare la trascendenza abissale della fede rispetto alla religione. Per tutte valga quella del terzo capitolo della Lettera agli Efesini: «A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. (…) Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi» (Ef 3,8-20). Si parla di un progetto di Dio sconosciuto a tutti e attuato in Gesù Cristo, nella storia. «Attuato» significa intervento creatore, ontologico: una vera novità che sorpassa ogni capacità di conoscenza umana. «Nascosto nei secoli» vuol dire che da sempre è il progetto di Dio per l’uomo, ma indica anche che non era operante tra di noi, non solo per mancanza di rivelazione, ma perché attuato nella storia degli uomini, secondo un disegno divino eterno17. La conoscenza religiosa è dell’uomo, seppur confusa dal peccato. Con la fede, invece, siamo di fronte ad un mondo nuovo. Il progetto permette di «accedere a Dio», entrare nella comunione trinitaria. Questo dono ha bisogno di essere riconosciuto e di crescere in noi mediante l’azione dello Spirito Santo. Di fede ne abbiamo poca e san Paolo prega per la nostra crescita nel dono divino. Con la fede si entra nella nuova dimensione divina, con la sua profondità: volume, consistenza ontologica; alla fede informante bastano due dimensioni, basta l’enunciato del contenuto di fede, mentre alla fede come mondo soprannaturale è dato vivere ciò che viene della profondità intratrinitaria. San Paolo ci augura addirittura di essere «ricolmi di tutta la pienezza divina», privilegio che solo a Maria è stato dato, ma in Lei ne siamo in qualche modo destinatari anche noi. E conclude con un ulteriore chiaro riferimento alla grazia, all’azione potente dello Spirito Santo, che può molto di più di quello che noi possiamo desiderare o chiedere (desideri della sapienza)18.

Dalle catechesi di Benedetto XVI appare ben chiara la novità cristiana. Il 22 gennaio 2010, parlando dell’unità dei cristiani, diceva: «In tutti i tempi gli uomini percepiscono l’esistenza di Dio, un Dio unico, ma che è lontano e non si mostra. In Cristo questo Dio si mostra. Il Dio lontano diventa vicino (…) col mistero di Cristo Dio si è fatto vicino a noi»19. Questa è la caratteristica principale della fede rispetto alla religione, che lascia Dio all’esterno. Nel secondo volume di Gesù di Nazaret dopo aver visto che la religione impone una purezza rituale, da ottenersi con lavacri o altro, mostra chiaramente come la purezza per l’incontro con Dio in Gesù è mero dono: «La fede purifica il cuore. Essa deriva dal volgersi di Dio verso l’uomo. Non è semplicemente una decisione autonoma degli uomini. La fede nasce, perché le persone vengono toccate interiormente dallo Spirito di Dio, che apre il loro cuore e lo purifica» (p. 71). Occorre entrare nella dinamica essenziale del dono, che è nuovo e gratuito, ma coinvolgente. L’essenza del cristianesimo è in un dono ineffabile rispetto al vissuto religioso dell’uomo. Dal rivelarsi di Dio, dall’incarnarsi, dal risorgere rendendosi presente a ciascuno di noi con l’amore della Croce, nasce un mondo nuovo rispetto alla religione.

Ma è bene ripetere che il problema principale consiste nel fatto che anche nel cristianesimo occorre distinguere ciò che è religione e ciò che è fede, altrimenti, come è successo lungo i secoli e avviene ancora nel presente, molti cristiani sentono parlare di fede e cercano di viverla secondo categorie di religione, quelle che portano nel cuore, perché connaturali alla vita umana. Se si comprende che il mondo della fede trascende il dato religioso connaturato all’umanità intera, si può capire che la Scrittura rivela e offre il mondo soprannaturale, e perciò va letta nella prospettiva di chi la inquadra a partire dalla fine, dall’incontro di fede col Cristo risorto. Chi, mosso dallo Spirito, vive in Cristo, rileggendo a ritroso la Scrittura può cogliere il dispiegarsi unitario del disegno divino. La si chiama lettura spirituale, che non significa personale, come intendeva Lutero, ma a partire dall’unità di Pentecoste, che dà senso a tutte le parti e distingue ciò che è umano e ciò che è divino nella Scrittura. L’esegesi scientifica è utile, ma legge la Scrittura a partire dal suo passato, da come si è composta, da dove derivano i termini, ecc. La lettura spirituale parte invece dalla realtà vissuta del mondo nuovo. La prospettiva è bene indicata da san Paolo: «Ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio» (Col 1, 12-13): trasportati nel Regno del Figlio vediamo il mondo secondo un paradigma soprannaturale ignoto a chi non ha fede viva. La lettura «spirituale» permette di capire i condizionamenti storici, umani, linguistici, religiosi che spesso nascondono l’intenzione divina. Comprende anche, come fa notare Raniero Cantalamessa, la prospettiva della storia della Chiesa: indagando sul modo in cui i santi e le comunità cristiane hanno incarnato la Parola si può cogliere un arricchimento semantico e relazionale, che può significare un arricchimento comunitario, inserito in modo più profondo nella storia della salvezza.

Chi entra nel mondo della fede può capire che esso è nuovo rispetto alle categorie religiose, di cui però ha sempre bisogno. A partire dalle categorie religiose, invece, si può pensare di ridurre la fede cristiana a una religione tra le altre, pur accettando i valori aggiunti. Chi pensa che la trascendenza è solamente soprannaturale, pensa che parlare di Dio sia sempre un dato teologico20, finendo per dire che tutto è soprannaturale (in Cristo) e che tutti sono cristiani (seppure «anonimi»), anche se per saperlo occorre credere nella Rivelazione. In questo caso il cristianesimo si riduce a una «gnosi», a un dato di conoscenza, senza nulla di veramente nuovo nel Cristo risorto. In teoria ciò conduce dalla parte dei protestanti che si interessano unicamente ai contenuti di fede, ma di fatto, se tutto è soprannaturale, esso diventa naturale. E si finisce per procedere con le nostre idee (gruppi settari) o le nostre forze, senza evitare la riduzione della fede a religione. Ai cristiani capita di ascoltare verità di fede e tradurle nella vita col metro religioso, inficiato dal peccato e pertanto insufficiente a salvare l’autenticità dei gesti umani21. Gli ebrei avevano la fede incipiente, ma la leggevano secondo il paradigma settario della religione ebraica.

Di fatto è subentrata tanta paura nei confronti della «natura pura» che si sorvola su differenze eclatanti tra ciò che è dello spirito umano e ciò che è dono gratuito e «nuovo» dello Spirito Santo a Pentecoste. Molti cattolici non sanno vedere la natura nel fatto che i figli nascono da donne e mai dagli uomini, con ciò che segue sul piano della natura umana, a livello personale, morale, sessuale, psicologico, familiare, sociale, di lavoro, ecc. Alcuni pensano che la natura sia la materia, ciò che è fisico o statico, mentre invece comprende la storicità, la libertà, l’amore e la trascendenza religiosa. Hanno molto faticato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per riportare alla considerazione culturale e pastorale la legge morale naturale, di cui non si voleva più sentir parlare. Il fatto che tutto sia mescolato col peccato e la grazia non deve infirmare la capacità di cogliere le ricchezze naturali, fino al culmine della religione e della legge morale naturale. Tra amicizia e comandamento nuovo c’è una forte analogia, che è similitudine e dissomiglianza. Così è per il matrimonio e il sacramento del matrimonio, o per i sacrifici liturgici e l’Eucarestia, per la festa in tutti i popoli e la domenica del cristiano che si santifica. Nell’analogia la grande differenza è Cristo presente; la filiazione divina offerta dal battesimo che è nuova creazione, e perciò novità ontologica. L’aspetto comune dell’analogia, che è il legame di amore, mantiene una grande differenza tra il mondo creato e quello elevato. Senza pretendere di sezionare il reale, è facile distinguere ciò che è di natura, di grazia e di peccato.

1 Questo libro è stato pensato per cristiani volenterosi e mediamente colti. Alcune pagine possono apparire teoriche o difficili da seguire. In questo caso si può passare ai paragrafi seguenti, sui contenuti propri della religione e della fede, che rientrano nell’interesse di ogni lettore. Era necessario far riferimento ai problemi di fondo, perché il clima teologico attuale è poco propenso a distinguere tra religione e fede, per esempio quando si afferma che la religione è di natura e la fede di grazia.
2 Cfr La natura della religione in contesto teologico a cura di S. Sanz Sanchez e G. Maspero, Edusc, Roma 2008.
3 Si può ricordare che contro Baio fu definito che esistono due amori per Dio, uno naturale e uno soprannaturale; si condanna infatti la proposizione di Baio: «Distinctio illa duplicis amoris, naturalis videlicet, quo Deus amatur ut auctor naturae, et gratuiti, quo Deus amatur ut beatificator, vana est et commentitia et ad illudendum sacris litteris et plurimis veterum testimoniis excogitata» (cfr Denzinger-Schonmetzer, 1934). San Tommaso esprime più volte e con chiara consapevolezza l’esistenza di due amori: «Amare Dio sopra ogni cosa è conforme alla natura dell’uomo, come a quella di qualsivoglia creatura. E ciò per la ragione che, naturalmente, ciascuno desidera ed ama secondo la disposizione naturale del suo essere» S.Th., I-II, q. 109, a. 3; «C’è un amore universale, con il quale “egli ama tutte le cose esistenti” (Sap 11, 25), come dice la Scrittura; e in forza di esso viene elargita l’esistenza naturale a tutte le cose create. C’è poi un amore speciale, di cui Dio si serve per innalzare la creatura ragionevole, oltre la condizione della propria natura, alla partecipazione del bene divino . E in questo caso si dice che Dio ama qualcuno in senso assoluto; poiché secondo questo amore, Dio vuole senz’altro alla creatura quel bene eterno, che è lui medesimo», S.Th., I-II, q. 110, a. 1, resp.L’idolatria si vince nella grazia, ma solo quando permea i cammini degli uomini, percorribili nella vita quotidiana, accanto agli altri, nelle responsabilità reali della vita. Ciò ha bisogno anche di una cultura sana che faccia vedere le realtà create nell’ambito della «bontà» con cui Dio ha creato il mondo e nel substrato del cuore umano, che per natura ha bisogno assoluto di amore.
4 Il Cardinale Ratzinger è molto chiaro su questa novità ontologica. Scrive, per esempio: «Nella linea della fede di Abramo, anche della fede cristiana possiamo dire che nessuno se la trova davanti come cosa già sua. Non viene mai da quel che è nostro proprio. Irrompe dal di fuori. È sempre così. Nessuno nasce cristiano, nemmeno in un mondo cristiano e da genitori cristiani. Il cristianesimo può avvenire sempre solo come nuova nascita. L’essere cristiano ha inizio col battesimo, che è morte e risurrezione (Rm 6), non con la nascita biologica. (…) È proprio questo che si intende col concetto di Rivelazione: il non proprio, ciò che non appartiene alla sfera mia propria, mi si avvicina e mi parta via da me, al di là di me, crea qualcosa di nuovo. Questo è ciò che determina anche la storicità della realtà cristiana, che poggia su eventi e non sulla percezione della profondità del proprio intimo, che poi è quel che si chiama “illuminazione”» J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza, cit., p. 91-93.
5 Una indicazione in questo senso la si trova nel libro di Lorenzo Leuzzi: Dalla Fede religiosa alla Fede teologale LEV 2012.
6 L’aggettivo «cristiana», tra virgolette, riferito alla religione significa qualcosa di naturale che viene vissuto insieme alla fede e pertanto purificato, abbellito e in tanti modi arricchito. Un po’ come si è parlato di filosofia «cristiana» per indicare il fatto che alla luce della fede i filosofi, usando la ragione, sono giunti a profondità razionali nuove rispetto ai filosofi pagani.
7 San Josemaría Escrivá, commentando un testo di san Giovanni Crisostomo, in cui tra l’altro si legge: «Non vi dico di non sposarvi. Non vi dico di abbandonare la città e allontanarvi dai commerci cittadini. (..) A dir la verità desidero di più che brillino di virtù quelli che abitano nelle città che non coloro che si sono ritirati tra i monti, perché da questo ne verrebbe un bene immenso…» osservava: «Come era chiara, per coloro che sapevano leggere il Vangelo la chiamata generale alla santità nella vita quotidiana, nella professione, senza abbandonare il proprio ambiente! Tuttavia lungo i secoli, non lo ha capito la maggior parte dei cristiani», Lettera 9-I-1932, n° 91.
8 J.Escrivá, Amare il mondo appassionatamente, in La Chiesa nostra madre, Ed Ares.
9 Per comprendere la forza salvifica del Vangelo vissuto nella fede viva rispetto alla pratica religiosa suggerisco un esempio che può contribuire a una catechesi in grado di distinguere correttamente le categorie della fede da quelle della religione. L’esempio riguarda ciò che succede alle famiglie cristiane là dove si vive il sacramento del matrimonio in comunità «primarie», dove non si fanno sconti ai comandamenti e al Vangelo, dove la fede emergere rispetto alla dimensione religiosa: per trovare una famiglia che si divida ne occorrono circa 50 (2%), mentre tra gli altri cristiani, che pur frequentano la messa domenicale, la percentuale si avvicina a quella della media (superiore al 35%). Se si calcola che per ogni famiglia che si divide ce n’è almeno un’altra che soffre per incomprensioni interne, abbiamo che il 70% della gente in Occidente soffre peggio che durante una guerra o per epidemie, perché tali sono le sofferenze di chi è lasciato e dei figli che vedono i genitori litigare e dividersi. Mentre là dove si intravede la fede emergere sulla religione i disagi sono circa al 4%: la differenza è talmente grande che dovrebbe aprire gli occhi perlomeno ai cristiani. L’amore vero non chiede sconti, perché non li vuole: la religione senza fede li cerca e fa soffrire.
10 Essere atei è un portato prettamente religioso. Per essere atei occorre «credere», visto che nessuno potrà mai dimostrare che Dio non esiste. È un credere al livello della credenza religiosa non certo al livello della fede soprannaturale. Essere agnostici è sprecare la vita, perché evidentemente Dio o esiste o non esiste, tertium non datur. Perlomeno gli atei possono dire di «credere» a qualcosa. In realtà anche gli agnostici hanno i loro idoli, la loro chiesa, ecc. Non ci si libera certamente dalla religione che si nasconde nella loro vita sociale o di lavoro. La grande perdita consiste nel privarsi dei contenuti alti della religione. È facilissimo vedere forti valenze religiose, con dogmi e morale rigida, nelle ideologie che hanno sconvolto il secolo XX: nazismo e comunismo hanno una struttura religiosa. La religiosità, per quanto pervertita, si nasconde nel cuore di tutti, nelle cerchie sociali, politiche, ludiche, anche di chi si accontenta del suo lavoro per dimostrare ad altri la sua presenza significativa, alla ricerca di una immagine che sostituisce l’esplicito riconoscimento di essere creati ad immagine di Dio. Basti pensare a come si è sensibili, nel lavoro, al successo e all’insuccesso, fino a farsene una malattia. Difficilmente, quando si toccano temi antropologici, i razionalisti sanno usare la ragione in modo non ideologico. A conferma che la religione si annida in ogni cuore e in ogni gruppo primario, in ogni ideologia o anche filosofia, Ratzinger, nel libro scritto con Johann Auer, Escatologia, morte e vita eterna, dice, a proposito del marxismo, che esso si basa su di una escatologia terrena, piena di speranza, esattamente in senso religioso anche se ateo, e certamente contro la fede rivelata: «un fatto singolare, ma insieme comprensibile e che, dopo la radicale distinzione di Barth tra fede e religione, la teologia, posta dinanzi alla scelta tra la fede in Dio e il pathos religioso futuristico, si mostra disposta a scegliere la religione contro Dio», riferendosi alle teologie della liberazione che negli anni settanta puntavano all’alleanza col marxismo per una futura liberazione terrena.
11 È importante diffondere la consapevolezza che tutti gli uomini hanno una dimensione religiosa. Solo facendo vedere ad atei e agnostici, o anche agli indifferenti, che di fatto hanno “chiesa”, legame primario, e sono preda di idoli e prestazioni pseudo-sacrali, sarà possibile ridimensionare pregiudizi e incomprensioni. Inoltre sarà possibile impostare la laicità culturale e politica, che è propria del vivere civile e cuore di ogni civiltà. Non esiste una religione civile con apparati sacrali, gerarchici, o morali, ma esiste una religiosità di tutti, una moralità oggettiva, che le varie comunità cercano di portare alla pratica, spesso con valori nobili, ma anche con confusioni e contrapposizioni ideologiche che tormentano la vita degli uomini sulla terra. Uno Stato laico non può puntare sul laicismo, e neppure sulla confessionalità, bensì deve favorire la vita delle comunità religiose o ideologiche purché si rispettino tra loro e contribuiscano al buon vivere sociale.
12 Non entro nel problema del rapporto tra natura e grazia, creazione e Alleanza, alla radice del rapporto tra religione e fede, perché richiede ben altro apparato scientifico. Si distingue tra un cristocentrismo che dopo il peccato originale trova solamente in Cristo la salvezza, da un cristocentrismo «forte» in cui tutto è creato e dato in Cristo, tanto la natura quanto la grazia. Non c’è dubbio sull’accettazione del cristocentrismo «forte», ma si può articolarlo in modo che la creazione risulti opera della Trinità secondo il principio formale dell’umanità di Gesù, nato da Maria Vergine, perfetto uomo, mentre la Redenzione, il mondo della fede, ci è data dal Cristo risorto. Di mezzo c’è un atto creativo dell’amore divino, dello Spirito Santo, sull’umanità del Salvatore; in «potenza» e cioè non con l’onnipotenza del miracolo che sospende qualche legge naturale, ma con potenza creatrice propria dell’amore di Dio creatore e redentore, fonte di novità ontologica. In genere questa distinzione, tra la perfetta umanità di Gesù nato da Maria e l’umanità nuova del risorto, non si fa e perciò il cristocentrismo forte rischia di diventare fideismo moderato, o fideismo vero e proprio quando nega che la ragione sia fatta per conoscere Dio. Certamente occorre vedere la creazione nell’umanità del Verbo incarnato, voluta da Dio per poterci innestare nella comunione trinitaria. Siamo creati per la grazia, ma non siamo creati in grazia. Valgano le precisazioni di S. Sanz Sanchez, La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi, in Crezione e salvezza nella Bibbia, a cura di M. Fabbri e M. Tabet, Edusc, 2009. Cristiani non si nasce, si diventa! Il Catechismo della Chiesa Cattolica nella sua prima edizione, nel punto 398 affermava: «Creato in uno stato di santità, l’uomo…». Ma nelle correzioni che seguirono, il testo è diventato: «Costituito in uno stato di santità, l’uomo…». La differenza è decisiva. Pertanto rimane una differenza siderale tra portato naturale dello spirito umano creato ad immagine divina e il dono inaudito della Risurrezione di Cristo e dello Spirito Santo che ci fa figli di Dio, con nuova creazione. Il dono di grazia, l’azione dello Spirito Santo, era già operante prima della risurrezione di Cristo, in quanto illuminava i profeti in quella che è Rivelazione soprannaturale e sosteneva in molti modi gli uomini di buona volontà. A Pentecoste Gesù si è dato a noi con tutto il suo amore divino, divinizzandoci (figli di Dio).
13 Per decenni si è rimandato ogni problema antropologico a Cristo. Fino a pochi anni fa si facevano corsi di preparazione al matrimonio come sacramento, senza aiutare i giovani dal punto di vista culturale, filosofico, antropologico e morale. Quante volte rivolgendomi a sacerdoti dicevo: «occorre aiutare i giovani a capire l’amore, la sessualità, il senso della morale». Mi rispondevano: «è inutile, se non hanno Cristo non otterrai nulla e se lo hanno trovato dovrebbero aver risolto i loro problemi». Invece, numerosi giovani cristiani hanno ritenuto possibile la pratica sessuale prima del matrimonio, giustificati da una nozione di amore del tutto insufficiente. Ora ci si accorge che, scomposto l’uomo, non basta parlare di Cristo. Ma è solo un esempio dell’urgenza di rifondare il rapporto grazia-natura. Nella bioetica e per la famiglia anche i cristiani hanno incominciato a fare cultura, spinti dal loro amore per gli uomini. Giovanni Paolo II è stato mirabile. Tuttavia non abbiamo ancora uno statuto della ragione a fondamento del dialogo con i non credenti, in nome dell’uomo. Nella religiosità dell’uomo, esiste un’apertura della ragione sapienziale alle meraviglie dello spirito umano, che permetterebbe maggiore cordialità nel rapporto tra credenti e non credenti. Eppure, se non si dà il giusto risalto allo spirito creato e alla sapienza non solo si confonde l’amicizia con il comandamento nuovo, lo spirito di corpo (come grande portato naturale e allo stesso tempo come luogo del peccato originale) con la spiritualità di comunione (che viene da Pentecoste), o il matrimonio con il sacramento del matrimonio, ecc., cioè si confondono i contenuti naturali della religione con quelli soprannaturali, che pur dandosi insieme rimangono a distanza infinita. Così si verificano gli integrismi, gli spiritualismi, gli ascetismi, i protestanti, gli orientali monofisiti o quasi, che confondono lo Spirito Santo con l’essere. Un noto storico delle religioni, Raimundo Pannikar, riesce a dire che la fede è quella di tutti, mentre il cristianesimo è una religione (cfr La fede come dimensione costitutiva dell’uomo, in R. Panikkar, Mito, fede ed ermeneutica, Jaca Book, Milano 2000, pp. 190-194). Non è solamente questione di parole.
14 L. Leuzzi, La questione di Dio oggi, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2011, p. 11.
15 Ad essere rigorosi la parola ontologia indica la scienza dell’essere. Ma qui semplifichiamo il discorso intendendo per ontologico ciò che è, che ha realtà. Distinguendolo da psicologico e gnoseologico, dal fatto di conoscere, che di per sé spazia anche su tanti oggetti soltanto pensati. Sperando che qualcuno non confonda il reale (l’esistere di fatto) col materiale.
16 J. Ratzinger, Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo. Cantagalli, p. 50.
17 I teologi che alla luce della Rivelazione, vedendo come tutto sia stato creato in Cristo per la comunione trinitaria con chiara unità di disegno teologico, non vogliono parlare di religione naturale, forse a causa di una metafisica di tipo razionalista: se Dio mi rivela il suo disegno, vuol dire che tutto è sempre stato così. Perciò si arriva a negare che ci sia un «prima nell’intenzione» e un «dopo nell’esecuzione». Se la natura è mera potenzialità il cui atto è la grazia, non ci può essere un «poi» soprannaturale nella storia della salvezza, di una nuova ontologia rispetto a quella creata. Se la ragione pone domande ultime la cui risposta è la fede, non si può concepire un «prima» dell’Incarnazione in cui si poteva pensare e cercare sulla base dell’ontologia creata, e pertanto della sapienza e della religione, con risposte confuse dal peccato, ma non campate per aria. A nostro parere questi teologi non accettano il portato metafisico, ontologico, della religione e finiscono per fondare la trascendenza e l’apertura a Dio sulla trascendenza soprannaturale. Poi, dato che parlano di una sola trascendenza, non hanno bisogno di usare la parola «soprannaturale». Vedono pertanto la fede senza novità metafisica, di essere. La filosofia moderna elimina il tema metafisico; tutto si gioca a livello della conoscenza. Neppure considera sufficientemente l’apporto delle relazioni, che oggi emerge, ma non sempre con aggancio trascendentale all’essere; si parla di relazioni, ma a livello accidentale. Tuttavia con la metafisica dell’atto di essere il primato non appartiene al pensiero, bensì all’attuazione ontologica. In Dio tutto è chiaro, ma nel suo pensiero c’è un prima e un dopo nell’ambito della storia creata.
18 È noto l’assioma di San Tommaso: «La grazia non distrugge ma presuppone e perfeziona la natura». Si può forzare in tanti modi secondo le varie interpretazioni del rapporto natura-grazia, ma è certo che se la fede presuppone la natura e pertanto anche la ragione, non si trova nella ragione umana il criterio ultimo di valutazione della fede. La grazia perfeziona la natura restaurandola dalle ferite del peccato e anche svelando una apertura al divino superiore a ciò che la ragione può indagare, ma non nel senso della perfetta continuità. Il rapporto tra natura e grazia si comprende a partire dalla novità pasquale, dove c’è un’assoluta novità rispetto alla natura. C’è compimento delle attese messianiche che già erano di grazia, ma anche rispetto a queste c’è novità. In questo senso anche l’universalità del messaggio cristiano non è l’universalità del mondo religioso, quasi a stemperare le differenze che la fede apporta, per un incontro universale con la ragione e la sapienza umana. Non per nulla Hegel ha avuto la sua fortuna fino a pochi lustri fa tra tanti teologi cattolici L’universalità cristiana è radicata nell’unicità di un evento storico, l’unicità di Cristo morto e risorto per ogni uomo. Universalità nella massima sinteticità dell’amore e dell’incontro personale, mentre l’universalità razionale è nella massima astrazione e minima sinteticità.
19 Molto chiare sono le parole di Benedetto XVI del 12 febbraio 2010, nell’incontro annuale con i seminaristi di Roma: «La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato, ma non trovato o solo indovinato da lontano. Dio si è fatto vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto “conosciuto”, e così ci ha fatto amici. Pensiamo come nella storia dell’umanità, in tutte le religioni arcaiche, si sa che c’è un Dio. Questa è una conoscenza immersa nel cuore dell’uomo, che Dio è uno, gli dèi non sono “il” Dio. Ma questo Dio rimane molto lontano, sembra che non si faccia conoscere, non si faccia amare, non è amico, ma è lontano. Perciò le religioni si occupano poco di questo Dio, la vita concreta si occupa degli spiriti, delle realtà che incontriamo ogni giorno e con le quali dobbiamo scontrarci. Dio rimane lontano. Poi vediamo il grande movimento della filosofia: pensiamo a Platone, Aristotele, che iniziano a intuire come questo Dio è l’agathón, la bontà stessa, è l’éros che muove il mondo, e tuttavia questo rimane un pensiero umano, è un’idea di Dio che si avvicina alla verità, ma è un’idea nostra e Dio rimane il Dio nascosto».
Sia la ricerca del filosofo verso la causa ultima, sia lo sforzo umano del mistico di elevarsi al disopra dell’apparire, sia la pratica di tutte le religioni, si rifanno alla natura religiosa dell’uomo. L’immensa diversità di forme e di vie non deve trarre in inganno: siamo sempre nell’ambito della tensione spirituale e sociale dell’animo umano, creato a immagine di Dio e confuso dal peccato. Quello che nelle parole di Benedetto XVI non appare chiaro è il fatto che nel cristianesimo, o meglio nella vita di ogni cristiano, è ben presente la dimensione religiosa, del Dio esterno, come dato naturale, pur purificato dalla fede.
20 Per teologia intendiamo lo studio di Dio a partire dalla Rivelazione, mentre è necessario riconoscere che l’esistenza di Dio e la tematica religiosa-spirituale si possono conoscere già con la ragione, a portata della sapienza umana e del senso comune, come indica Giovanni Paolo II nella Fides et ratio. Se l’essere di ogni ente partecipa all’Essere divino, ciò significa che la trascendenza è presente nella natura. Per entrare nella trascendenza trinitaria, soprannaturale, che si sposa con quella naturale, occorre una nuova creazione che innalza l’essere proprio della persona umana (non però la sua natura, che rimane sempre la natura creata, pur corredata dai doni di una natura soprannaturale conseguente al dono ontologico della filiazione divina) all’incontro con Dio nella sua intimità.

21 Gandhi ricorreva al Vangelo nei momenti tragici della sua vita. Ma a chi gli domandava perché non si faceva cristiano, rispondeva: perché i cristiani non vivono il Vangelo. Se pensiamo ai tanti inglesi conosciuti in India non è difficile vedere un po’ di religione, senza barlumi di fede. Così erano i cristiani nel mondo occidentale, eccetto i missionari e i santi. Il tragico è che pensavano di essere buoni cristiani. Forse non erano tutti malvagi, ma di vero cristianesimo ce n’era poco.