Articolo pubblicato su Studi Cattolici  N° 677/78, Luglio/Agosto 2017
Il cristianesimo si può vivere solo nei legami del Regno che Gesù è venuto a instaurare. Si tratta proprio di un mondo di legami nuovi, reali, nell’amore donato e operato in noi dallo Spirito Santo. Pentecoste inaugura la presenza reale di questo Regno sulla terra, dove si può vivere vita eterna, vita trinitaria, ben diversa dalla vita immortale dell’anima umana.
C’è un “mondo animale” di cui partecipiamo anche noi umani, con inevitabili vincoli di branco, legati al genoma. Poi c’è il regno spirituale, proprio dell’uomo, con legami con Dio o con idoli nella religione e tra di noi nella vita familiare e sociale. È un mondo vastissimo, il cui cuore è l’apertura a Dio, con luci di sapienza, di filosofia, di scienza. Con una grande impresa pedagogica, artistica, ludica, sportiva, ecc. Il peccato originale si abbarbica proprio al centro di questo “regno” e confonde molte cose, tra cui la chiusura settaria nella propria “chiesa” o appartenenza primaria, in cui tutti necessariamente si muovono. Il bisogno di amore che connota il mondo spirituale viene confuso e reso conflittuale oltre ogni dire dal peccato originale, dal fare dell’immagine umana da difendere nella propria appartenenza il sostituto dell’immagine divina in cui siamo stati creati.
Ed esiste il Regno soprannaturale, operato con potenza creatrice dallo Spirito Santo, che ci fa figli di Dio realmente (cfr Gv 1,12; 1 Gv 3,1) e ci mette nella comunione di Pentecoste, con un cuore solo e un’anima solo secondo la grande novità del comandamento nuovo. È il mondo del battesimo, della Parola, dell’Eucarestia, che richiede un intervento creatore dello Spirito, di Maria madre di Dio e madre nostra nello Spirito Santo. Deve caratterizzarsi con la visibilità di vincoli nuovi di carità, avendo come Carta Costituzionale il comandamento nuovo, operato per grazia dallo Spirito in noi: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (Gv 13,35).
Nel Regno ci si entra col dono ontologico del battesimo (che per molti alla fine della vita potrà essere il battesimo di desiderio), ma occorre prenderne coscienza con i doni dello Spirito Santo. Non è solo questione di idee o pensieri, ma di dono oggettivo, in nuova creazione. Ma neppure opera sufficientemente il dono oggettivo se non c’è la presa di coscienza. Tutto ciò avviene nella comunione ecclesiale, il “noi” in cui si genera e cresce il figlio di Dio, con vincoli di nuova alleanza tra i fratelli e con il Dio Trino.
Il Regno è dono di grazia: non si può meritare con i nostri sforzi. Richiede solo la nostra libertà, il volere ricevere gratuitamente i grandi doni dell’Amore misericordioso. L’amore non può imporsi e pertanto richiede il nostro desiderio, che ci porta a chiedere: «Chiedete e vi sarà dato…» (Lc 11,9-10).
Entrando nel mondo della grazia occorrono varie distinzioni, che ci porterebbero lontano. Certamente tutto è grazia, già dalla creazione. Lo Spirito Santo agisce sempre su tutti gli uomini, fin dall’inizio quando aleggiava sulle onde del caos. In molti modi Dio provvede e sostiene gli uomini di buona volontà. L’uomo è religioso per natura anche se non crede in Dio; è facile vedere la dimensione religiosa, di assoluto, dogmatica, moralistica, in tutti. L’uomo non si accontenta di ciò che ha e si proietta verso qualcosa di più. Dio Creatore è onnipotente e può operare anche miracoli.
Nel Regno la grazia assume nuove forme, realmente soprannaturali rispetto al mondo della religione. In modo particolare la grazia santificante permette di avere pensieri e opere sante. Ma si tratta di aiuti che ci vengono dati attraverso la Chiesa, i sacramenti, la comunione fraterna, per vivere meglio la nostra fede cristiana. Alla base del Regno, nel cuore della grazia, c’è l’agire increato e creatore dello Spirito Santo. Rispetto al Dio onnipotente, c’è qualcosa di molto più importante: l’Amore creatore. Una cosa è un Dio che può fare tutto ciò che non si contraddice, e un’altra è il creare un mondo nuovo partecipe della vita trinitaria. Non basta intendere la grazia come aiuto divino, occorre prendere coscienza di un dono di filiazione e di comunione che lo Spirito crea. «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove»: si tratta di novità ontologica e non solo di una gnosi (luce) nuova. A Nicodemo, Gesù dice chiaramente che occorre rinascere con il battesimo e con l’azione dello Spirito Santo.
Elisabetta concepisce per un miracolo, perché Dio può farlo. Maria è resa Madre di Dio dall’intervento creatore dello Spirito Santo. L’arcangelo Gabriele dice chiaramente che a Dio tutto è possibile e pone come esempio il miracolo successo ad Elisabetta. Ma per Maria dice dell’azione dello Spirito Santo e di una potenza dell’Altissimo che la copre con la sua ombra. Non si tratta di un miracolo, ma proprio di nuova creazione. Il miracolo non cambia la natura, la sospende momentaneamente. Ma con Maria c’è qualcosa di ontologico nuovo (il concepimento nel seno di Maria) e certamente non si tratta di miracolo, ma di nuova creazione.
Il massimo della Potenza creatrice dell’Amore divino lo si ha con il Risorto. Chiaramente non si tratta di un miracolo, come per Lazzaro (che tornerà a morire), ma di creazione nuova: Gesù Risorto è uomo nuovo, portatore di vita eterna per ogni carne: «Cristo fu crocefisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio» (2 Cor 13,4). Capire questo vuol dire anche uscire da schemi religiosi insufficienti, dove si adora un Dio lontano, esterno, per avere una protezione e un premio finale. In questa visione la Risurrezione sarebbe un lieto fine, una fede in Dio che magari mi lascia soffrire ma poi alla fine, se lo prego bene, mi deve aiutare. La Risurrezione non è lieto fine, umanamente parlando. È mondo nuovo per chi crede e si lascia generare alla vita eterna alla vita dei figli di Dio, alla vita trinitaria. L’amore infinito di Cristo sulla Croce non riceve un premio in terra, non si riscatta l’ignominia estrema della croce per gli ebrei. Rimane per sempre un dono inaudito di amore per ciascuno di noi.
San Paolo attribuisce apertamente la risurrezione di Gesú da morte all’opera dello Spirito Santo. Dice che Cristo «è stato costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» (Rom 1,4). In Cristo è diventata realtà la grande profezia di Ezechiele sullo Spirito che entra nelle ossa aride, le risuscita dalle loro tombe e fa di una moltitudine di morti “un esercito grande, sterminato” di risorti alla vita e alla speranza (cfr Ez 37, 1-14).
La vita nel Regno è intimità con Gesù risorto, con Dio Padre misericordioso, con lo Spirito Santo che ci unisce in un solo cuore. La dimensione religiosa è quella del sacro: un rapporto con il Dio creatore e onnipotente attraverso le mediazioni sacrali (sacer-dote, sacra-menti. Luoghi sacri, tempi sacri). Dio rimane esterno e lontano. La dimensione soprannaturale è quella di una fede viva nell’amore di Dio per me, un colloquio intimo (“nel segreto”, ripete Gesù; da figlio: abbà Padre), in comunione di amore che dà senso a qualunque circostanza della vita, anche ad ogni sofferenza, con unione di cuore tra i fratelli: appartenenza primaria a livello di Pentecoste, carismatica. Lo Spirito Santo agisce nell’intimo ma sempre creando legami di amore fraterno.
Entrare nell’azione creatrice dello Spirito è entrare nella vita nuova, che non muore, instaurata da Gesù: «chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24). Non si tratta, come già accennato, alla vita immortale dell’anima, ma alla partecipazione alla vita di Dio, che non è immortale, ma eterno. Il dono è del tutto gratuito, di misericordia inaudita: Dio che dopo il peccato non si accontenta di risollevarci in piedi ridando all’uomo ciò che aveva creato per l’uomo, ma dando all’uomo ciò che è di Dio! Di questa “giustizia” ci può “convincere” solo lo Spirito Santo, come dice Gesù nell’ultima cena (Gv 16,8.10). La filiazione divina è dono ontologico che ci fa nuovi. Come ha ben studiato Fernando Ocariz (cfr Hijos de Dios en Cristo. Introducción a una teología de la participación sobrenatural), mentre le varie grazie sono accidentali e si perdono con il peccato mortale, la filiazione divina è rigenerazione dell’atto di essere proprio della persona. Il peccato non la può togliere, ma solo influenzare.
Non siamo educati a navigare metafisicamente, nella trascendenza dell’essere, anche perché la metafisica ha sempre privilegiato le essenze e ha sempre considerato l’essere come esistenza, rispetto a ciò che non esiste. ma l’esistenza è un prodotto dell’atto di essere. Solo con una rinnovata metafisica dell’atto di essere relazionale, il cui fondo è la relazione, come si rivela nella Trinità, a sostegno di ogni amore, si può liberare la fede nell’aldilà, la fede in un Regno di cui conosciamo solo alcune vestigia, ma che si apre oltre ogni dire ben oltre le immagini nostre (l’essere non si può tematizzare, non si può rappresentare in qualche modo: è ineffabile). Ciò che dovrebbe crearci problemi è credere nel cosmo, nel mondo visibile: perché c’è? Non dovrebbe esserci nulla? Si ricorre a Dio come creatore. Ma anche Dio, perché c’è? Che senso ha che ci sia un Dio invece del nulla? Occorre andare oltre: se c’è qualcosa vuol dire che è attuata dall’essere e l’essere non è un Dio estratto dai nostri pensieri per giustificare il mondo, è il regno di Dio che si rivela essere in relazione, Trinità. La vera realtà è quella del Regno di Dio. Regno di puro essere, che può attualizzare ogni ente, ogni bellezza, ogni legame di amore. Può creare e creando allarga il suo regno ai cori angelici, a cui Dio ha voluto unire l’umanità redenta. Di fatto c’è qualcosa e pertanto ci deve essere tutto, perché dal tutto dell’essere può spiegarsi ogni cosa, mentre il viceversa è totalmente assurdo. Impressionante vedere la forza con cui Gesù afferma di essere “Io-Sono”: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che “Io Sono”» (Gv 8,28) (Cfr anche G 8,58).
Per tutto questo è fondamentale andar capendo che oltre alla creazione agisce nel mondo degli uomini la creatività dell’Amore che è lo Spirito Santo, che genera i figli di Dio e li rende sempre più partecipi della vita nuova, del mondo del Risorto. La comunione nuova, visibile nella vita dei santi e delle comunità cristiane aperte al carisma di Pentecoste, manifesta in qualche modo la Potenza creatrice, la grazia increata. Il bello è che è per tutti, è gratis. I santi non sono più bravi di noi, perché nessuno in ordine all’azione dello Spirito Santo può meritare di più. Sono più furbi! Hanno aperto il cuore all’azione gratuita della misericordia. Misericordia è amore per chi non lo merita, e pertanto è tutta per ciascuno di noi, pur che la si voglia. La Chiesa ha per compito principale suscitare questa voglia, questi desideri di santità che portano a chiedere e a permettere l’azione santificatrice. Ciò può avvenire solo là dove i pastori rendono possibili cammini di santità per chiunque voglia assaporare la bellezza del Vangelo, con una proposta vocazionale legata al battesimo, senza bisogno di cambiar vita o di assumersi impegni particolari, se non quelli di una vita interiore curata ogni giorno, con un incontro settimanale con coloro che camminano nella sequela di Cristo, e con un mandato apostolico consono alla situazione di ciascuno. Si tratta di dar presenza al Risorto nella vita di tutti i giorni, attraverso l’azione creatrice dell’Amore, che non si può meritare ma che occorre desiderare e chiedere, con la forza e l’entusiasmo umano e spirituale che può dare il Comandamento nuovo, come appartenenza primaria che recupera i vuoti abissali di amore che il peccato originale provoca nell’abisso del cuore umano. Solo un amore donato, che ci unisce al di là dei nostri meriti, dei paragoni, delle lotte di potere sempre presenti nelle appartenenze idolatriche in cui tutti ci muoviamo, può porre la salvezza, il cielo nel cuore e l’amore genuino tra noi, nel mondo presente, come anticipo e speranza del Regno eterno.
Ugo Borghello
Bologna 12 giugno 2017
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