Gesù sapeva che le sue parole e le sue opere non bastavano a redimere il mondo. La sua più grande fatica fu di mettere insieme 12 apostoli in condivisione di vita. Sapeva pure che non bastava quell’aderire “primario” degli apostoli, e che occorreva una nuova comunione operata dallo Spirito Santo. Difatti, gli apostoli, che erano sinceramente disposti a dare la vita per Gesù, non assimilavano i suoi insegnamenti nella misura che si discostavano dalla tradizione ebraica. Per tre anni insegnò loro con tutti i mezzi pedagogici a non ambire al primo posto, e l’ultima ora passata insieme sorse ancora una disputa tra gli apostoli su chi di loro fosse il primo (cfr Lc 22,24). Per gli ebrei il messia doveva governare il popolo, come re, e avrebbe dovuto avere un primo ministro. Gesù sapeva che solo lo Spirito Santo, elevando i cuori ad una nuova appartenenza (il suo Regno), avrebbe cambiato il modo di pensare e di agire dei suoi discepoli. Lo si vede con chiarezza anche nella confessione di Pietro, quando afferma che Gesù è il santo di Dio e riceve le chiavi del Regno da parte di Gesù. Ma subito dopo Gesù dice che dovrà essere mandato a morte dai capi e Pietro si ribella: era ancora ben lontano dal capire chi era Gesù, il suo cuore “apparteneva” ancora al popolo ebraico e al “recinto ermeneutico” proprio degli ebrei.

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